La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo LXXIX

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Libro primo
Capitolo LXXIX

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Da poi pochi giorni appresso ce ne ritornammo alla volta di Firenze; ed essendo alloggiati a un certo luogo, il quale è di qua da Chioggia in su la man manca venendo inverso Ferrara, l’oste volse essere pagato a suo modo innanzi che noi andassimo a dormire; e dicendogli che innegli altri luoghi si usava di pagare la mattina, ci disse: - Io voglio esser pagato la sera, e a mio modo -. Dissi, a quelle parole, che gli uomini che volevan fare a lor modo, bisognava che si facessino un mondo a lor modo, perché in questo non si usava cosí. L’oste rispose che io non gli affastidissi il cervello, perché voleva fare a quel modo. Il Tribolo tremava di paura, e mi punzecchiava che io stessi cheto, acciò che loro non ci facessino peggio: cosí lo pagammo a lor modo; poi ce ne andammo a dormire. Avemmo di buono bellissimi letti, nuovi ogni cosa e veramente puliti: con tutto questo io non dormi’ mai, pensando tutta quella notte in che modo io avevo da fare a vendicarmi. Una volta mi veniva in pensiero di ficcargli fuogo in casa; un’altra di scannargli quattro cavagli buoni, che gli aveva nella stalla; tutto vedevo che m’era facile il farlo, ma non vedevo già l’esser facile il salvare me e il mio compagno. Presi per ultimo spediente di mettere le robe e’ compagni innella barca, e cosí feci: e attaccato i cavalli all’alzana, che tiravano la barca, dissi che non movessino la barca in sino che io ritornassi, perché avevo lasciato un paro di mia pianelle nel luogo dove io avevo dormito. Cosí tornato ne l’osteria domandai l’oste; il qual mi rispose che non aveva che far di noi, e che noi andassimo al bordello. Quivi era un suo fanciullaccio ragazzo di stalla, tutto sonnachioso, il quale mi disse: - L’oste non si moverebbe per il Papa, perché e’ dorme seco una certa poltroncella che lui ha bramato assai - e chiesemi la bene andata; onde io li detti parecchi di quelle piccole monete veniziane, e li dissi che trattenessi un poco quello che tirava l’alzana, insinché io cercassi delle mie pianelle e ivi tornassi. Andatomene su, presi un coltelletto che radeva, e quattro letti che v’era, tutti gli tritai con quel coltello; in modo che io cognobbi aver fatto un danno di piú di cinquanta scudi. E tornato alla barca con certi pezzuoli di quelle sarge nella mia saccoccia, con fretta dissi al guidatore dell’alzana che prestamente parassi via. Scostatici un poco dalla osteria, el mio compar Tribolo disse che aveva lasciato certe coreggine che legavano la sua valigetta, e che voleva tornare per esse a ogni modo. Alla qual cosa io dissi che non la guardassi in dua coreggie piccine, perché io gnene farei delle grande quante egli vorrebbe. Lui mi disse io ero sempre in su la burla, ma che voleva tornare per le sue coreggie a ogni modo; e faccendo forza all’alzana che e’ fermassi, e io dicevo che parassi innanzi, in mentre gli dissi il gran danno che io avevo fatto a l’oste: e mostratogli il saggio di certi pezzuoli di sarge e altro, gli entrò un triemito addosso sí grande, che egli non cessava di dire all’alzana: - Para via, para via presto - e mai si tenne sicuro di questo pericolo, per insino che noi fummo ritornati alle porte di Firenze. Alle quali giunti, il Tribolo disse: - Leghiamo le spade per l’amor de Dio, e non me ne fate piú; ché sempre m’è parso avere le budella ’n un catino -. Al quale io dissi: - Compar mio Tribolo, a voi non accade legare la spada, perché voi non l’avete mai isciolta, - e questo io lo dissi accaso, per non gli avere mai veduto fare segno di uomo in quel viaggio. Alla quale cosa lui guardatosi la spada, disse: - Per Dio che voi dite il vero, che la sta legata in quel modo che io l’acconciai innanzi che io uscissi di casa mia -. A questo mio compare gli pareva che io gli avessi fatto una mala compagnia, per essermi risentito e difeso contra quelli che ci avevano voluto fare dispiacere; e a me pareva che lui l’avessi fatta molto piú cattiva a me, a non si mettere a ’iutarmi in cotai bisogni. Questo lo giudichi chi è da canto sanza passione.