Gazzetta Musicale di Milano, 1872/N. 6

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N. 6 – 11 febbraio 1872

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[p. 43 modifica]È esaurita la prima edizione dell'Opera AIDA del maestro G. Verdi, per Canto e Pianoforte e Pianoforte solo; la seconda edizione sarà pronta pel giorno 25 Febbrajo corrente.

Preghiamo caldamente coloro che hanno ricevuto numeri di saggio della Gazzetta e non li hanno respinti di farci conoscere in qualche modo la loro determinazione. Ugual preghiera facciamo a quelli fra i nostri vecchi associati che non hanno ancora rinnovato l'abbonamento

DOPO LA PRIMA RAPPRESENTAZIONE DELL'AIDA D I GIUSEPPE VERDI alla Scala Venerdì, 9 febbraio.

A quest’ora il telegrafo ha portato la lieta novella dovunque: il genio musicale italiano ha guadagnato un’altra battaglia contro quell’occulto nemico che si chiama il tempo, L'Aida per voto del pubblico cosmopolita della Scala è un altro capolavoro. La storia della serata è questa: applausi vivissimi a quasi tutti i pezzi, 32 chiamate al maestro, delle quali otto alla fine dell’opera; dopo il secondo atto fu presentato a Verdi uno scettro d’avorio ed oro, ornato di pietre preziose; buona l’esecuzione, buone le scene, ottima l’orchestra, splendido il vestiario, pubblico affollato come non si vide mai l’uguale non ostante i prezzi elevati delle sedie e dei palchi - totale: trionfo. Se dovessi dar retta ad uno scrupolo che mi è nato prima d’ora, e che i lettori non stenteranno a comprendere, il mio compito sarebbe finito, e dovrei lasciare la parola ai miei confratelli; ma io penso che l’incontrastabilità del successo mi renda lecito l’uscire per poco da un silenzio che è ipocrisia per chi legge ed ingiuria per chi scrive. Si tranquillizzi il lettore, chè non mi viene punto la tentazione di analizzare tecnicamente il nuovo capolavoro verdiano, e dove mi venisse avrei le mie brave ragioni di resistervi eroicamente; la prima delle quali è che mi riconosco incapace a questo genere di critica; la seconda (e mitiga in parte i perniciosi effetti di una confessione inopportuna) è che credo fermamente questo genere di critica non buono ad altro che a seccare dottamente il prossimo. Certo se vi è un brutto servizio che possa fare all’umanità un lavoro d’arte che si può ammirare in tre ore, è quello di servire di pretesto a commentarii che durano tre mesi quando non durano più di tre generazioni. La mia ignoranza assicura all'Aida di Verdi un commentatore di meno, e al prossimo che mi legge dieci linee di critica musicale in cui non si parla di toni maggiori e minori, di scale cromatiche, di accordi, e non si fa dell’anatomia col pretesto di scomporre un’aria o una cabaletta in battute, e le battute in crome ed in semicrome. Scrivo appena uscito dal teatro, colla mente ancora popolata di cari fantasmi melodici, e sento un bisogno irresistibile di capovolgere il sistema e fare la mia rivista alla rovescia, ponendo la sintesi a fondamento delle mie ciancie; fortunatamente questa sintesi non è che una parola - sublime. Questo indovinamento d'artista che accoppia mirabilmente la nota alla parola senza tradirle a vicenda, questa febbre creatrice del genio che mi fa credere ad una cosa a cui non ho mai creduto, vale a dire al colorito locale musicale, questa originalità di pensiero che dà la mano alla finezza della forma, questa dottrina senza arzigogoli, questa eleganza senza ghiribizzi, questa efficacia senza convenzionalismo di effetti, questa chiarezza senza volgarità, quest’unità senza monotonia, tutto ciò è sublime, se pur si vogliano chiamare le cose coi loro nomi. Nella nuova musica del Verdi si crede di indovinare l’Egitto, si crede di udire l’eco d’una civiltà dimenticata dai secoli, e quel che è più si leggono nettamente le passioni dei personaggi del dramma. Da questo lato, se io non m’inganno, l'Aida è lavoro perfettissimo. E si badi che non è il wagnerismo che sprezza la melodia, che soffoca il canto e si perde nella ricerca di armonie imitative impossibili e si compiace solo di dotte istrumentazioni, ma piuttosto il melodrammatismo che senza tradire l’idea musicale o l’idea drammatica [p. 44 modifica]44 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO

trae partito da tutto e riesce efficace sebbene in diversa maniera dei narcotici. Ho scritto la parola wagnerismo perchè l’ho udita pronunziare vicino a me e mi duole non già che si faccia biasimo a Verdi di aver imitato Wagner, ma che si conceda alla musica di Wagner, il vanto gratuito di assomigliare alla musica di Verdi. Certo se il wagnerismo e l'Aida fossero sinonimi io mi farei fin d’ora apostolo di Wagner, ma è bene intanto non confondere il merito notorio di pochi bellissimi pezzi di alcune opere di Wagner col merito del melodramma o peggio della scuola wagneriana. A stare alle idee che abbiamo avuto fino ad ieri non si potrà certo accusare di wagnerismo un’opera che affascina dalla prima sera come l’Aida. Si sa che le supposte malie di Wagner sono opera d’una maliarda che ha bisogno di civettare a lungo prima di riuscire; è una specie di magnetismo, dicono, a cui occorrono molte sedute, molta buona fede e molta buona volontà. L'Aida va per le spiccie, piace alla prima; certo piacerà sempre più in seguito, perchè questa è condizione di tutte le cose intimamente buone, ma per promettere il paradiso non incomincia a far provare il purgatorio. Testimonio il pubblico della Scala che trovò fin dalla prima sera l’occasione frequente di uscire dal rigore di prammatica delle grandi occasioni per abbandonarsi all’entusiasmo. E non ho che a citare come mi vengono in mente, non già i pezzi migliori dell’opera, chè ciò mi porrebbe in imbarazzo, ma quelli che al pubblico della prima rappresentazione parvero tali. Così nel primo atto il coro di guerra, l’aria di Aida, l’invocazione al nume e le bellissime danze sacre, nel secondo le danze dei mori, il duetto tra Amneris e Aida, dove il dramma musicale grandeggia in ogni frase, la marcia, il pezzo concertato e il coro finale di vittoria, che è d’una sonorità e d’una potenza meravigliosa; nel terzo l’aria d’Aida O patria mia, mai più ti rivedrò, il duetto tra Amonasro e Aida, che è uno stupendo accoppiamento dell’inspirazione melodica colla passione e fu interrotto più volte da applausi specialmente alla frase Rivedrai le foreste imbalsamate, il successivo duetto tra Radamès e Aida, di fattura squisita; nel quarto il canto dei sacerdoti, la scena del giudizio e l’imprecazione di Amneris e finalmente la pagina ispirata che chiude lo spartito, vale a dire il duetto tra Aida e Radamès nel sotterraneo, in cui l’inno della morte si mesce a quello dell’amore e ai canti della cerimonia religiosa. In tutti questi pezzi la melodia è sempre chiara, naturale, originale; ed ho citato questi, giova ripeterlo, non solo perchè il pubblico li ha gustati più degli altri, ma perchè a voler citare tutto ciò che è melodico, chiaro e naturale ed efficace dovrei citare tutta l’opera. Ora io voglio riserbarmi per un’altra volta il lusso di questa citazione, quando il pubblico, festeggiando l'Aida dalla prima all’ultima nota coll’entusiasmo che pose ieri nella maggior parte dei pezzi, cancellerà la memoria del primo trionfo con trionfi sempre maggiori. E questo, senza molto presumere della mia virtù fatidica., ho fede che avverrà prestissimo. L’esecuzione affidata alle signore Stolz e Waldmann, a Fancelli, a Pandolfini, a Maini e a Povoleri non poteva non essere squisita. Non ostante le commozioni inseparabili da una prima rappresentazione d’una nuova opera di Verdi, tutti questi artisti uscirono dalla difficile prova cogli onori del trionfo. Un’ottima Amneris fu la signora Waldmann; piena di anima, di fuoco di passione, ad ora ad ora innamorata, gelosa, vendicativa, feroce e pentita, corretta e vera sempre. La sua voce che è di un timbro piuttosto dilicato pareva dovesse rimanere sopraffatta dalla potenza della parte; al contrario superò tutte le difficoltà di canto, tutte le difficoltà d’accento, senza tradire un momento di debolezza o di freddezza; solo quando impreca ai sacerdoti nell’atto quarto si sente il bisogno d’una voce robusta e calda come quella della Fricci, ma in tutto il rimanente dell’opera la critica più arcigna non saprebbe di che farle rimprovero. La Stolz fu grande al solito; ella seppe piegare la sua voce prepotente al canto a fior di labbro senza tradire la violenza dello sforzo: la passione della giovine Etiope non potrà drammaticamente avere interprete che la uguagli e certo per ciò che è canto nessuna che la superi. Perfetti nelle loro parti di Amonasro e di Ramfis furono Pandolfini e Maini. Nel duetto con Aida nell’atto terzo e nel terzetto che segue Pandolfini fu così vigoroso nell’azione, così efficace nell’accento, così corretto nel canto che meglio non si poteva desiderare. In quanto a Fancelli chi ha udito la sua voce una volta non la dimentica più; nell’Aida è ancora lo stesso che era nella Forza del Destino e nel Giuramento; è un elogio che può sembrare un biasimo e vuol essere l’uno e l’altro. Certo anche nella parte di Radamès come voce e come canto non ci è nulla a rimproverargli, ma manca alquanto nell’accento, e nuoce non poco all’effetto di alcune frasi drammatiche. Siccome non sono mende irreparabili, e siccome non sono che mende, la critica non perde il suo tempo a notarle. Il Povoleri (Re) fece assai bene la sua parte, i cori benissimo, l’orchestra stupendamente; si notò un po’ d’incertezza di tono nelle sei tube che intonano la marcia egizia, ma è da accagionarne la commozione. Le scene del Magnani furono trovate belle e furono applaudite; stupenda è in ispecial modo quella dell’ultimo quadro che divide orizzontalmente il palcoscenico in due i parti, l’una delle quali rappresenta il tempio di Osiride tutto colonne e luce, l’altra la tomba in cui Radamès è sepolto vivo e ritrova Aida. I vestiarii sono tutti pittoreschi e di molto buon gusto; ci è fra gli altri il costume delle danzatrici del primo atto che è d’un’eleganza rara. Naturalmente ciascuno di coloro che concorsero al lieto esito di questo stupendo spettacolo ebbe la sua porzione di apoteosi; il maestro Faccio direttore d’orchestra, il maestro dei cori Zarini, lo scenografo, ecc., dovettero apparire più volte alla fine dell’opera insieme con Verdi. Non mancò che l’autore del libretto, e ciò non già perchè il pubblico se ne fosse dimenticato, ma perchè al primo udire il suo nome, pare che Antonio Ghislanzoni andasse a nascondersi dietro un praticabile. Se la cosa è vera, questa sua eccessiva modestia non [p. 45 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 45

è una buona ragione per contendermi il diritto di dire due parole del suo libretto. Si sa che la tela non è di sua invenzione, e che la sua musa non ebbe altro a fare fuorché seguire docilmente la traccia di un programma francese in prosa del signor Du Locle. La musa di Antonio Ghislanzoni non è però una musa schizzinosa e invece di imperrmalosirsi per vedersi così condotta a mano come un pulledro bizzarro, si mostrò d’una arrendevolezza rara, e fece versi che non solo lasciano indietro di gran lunga i migliori versi melodrammatici d’oggidì, il che sarebbe vanto assai problematico, ma che non sfigurano al confronto dei vecchi e più riputati modelli del genere. Infine non bisogna dimenticare che la parte archeologica delle decorazioni, dei vestiarii e delle scene fu diretta con amore dal valente archeologo nobile Alessandro Melzi, a cui dobbiamo essere riconoscenti. Domani avrà luogo la seconda rappresentazione. Verdi assisterà ancora per due sere allo spettacolo. S. Farina.

Facciamo seguire i giudizii della stampa milanese, giudizi che non mancheremo di confrontare con quelli che verranno dati dopo le successive rappresentazioni. Il Pungolo scrive:

"L'Aida appartiene a quel ristrettissimo numero d’opere d’arte, che sono tutta l’arte, non una forma, una manifestazione speciale e determinata di essa. — L'Aida è un quadro, è un dramma, è un poema, è una statua, oltre ad essere una musica. — Quando avete fatto l’analisi della struttura musicale dei pezzi, non avete detto nulla, non avete dato una idea, neppur vaga, neppur lontana, dell’insieme. "Nel comporre l'Aida, Verdi non calcolò soltanto sull’effetto de’ suoi motivi, delle sue combinazioni armoniche, dei suoi accompagnamenti orchestrali: v’accorgete, assistendo allo spettacolo, ch’egli concepì il vastissimo quadro artistico nel suo complesso, e che la musica non è che uno dei colori della sua tavolozza; per cui, come nel parlare del colorito di un quadro non si può separare nell’analisi un colore dall’altro, cosi non potete parlare della musica dell’Aida, senza parlare — lo vogliate o no — del dramma, del poema, del quadro. "È tutto bello in quella musica, o almeno è tutto bello del pari, son tutte armoniche le linee di quel quadro — è sempre, in tutto, dovunque, eguale la forza straordinaria della tavolozza del pittore — tutti i brani di quel poema sono essi a un’eguale altezza di ispirazione?

"Non lo so — Vado più oltre — e dico chi lo sa? — Qual’è quello dei tremila spettatori di iersera che, uscendo dal teatro, possa asserire di essersi reso chiaramente conto a sè stesso di tutto ciò che ha visto ed udito, nel suo insieme e nei suoi particolari?

"Di una sola cosa tutti gli spettatori devono aver portato il convincimento fuori di teatro — ed è che si son trovati per quasi quattr’ore davanti al grandioso — grandiosità di creazione — grandiosità di estrinsecazione — grandiosità di interpretazione — grandiosità, non di mole, ma di pensiero — non di proporzioni soltanto ma d’idee. "La originalità del genere, la originalità non cercata nei minuti particolari, nei frastagli, negli accessorj, ma nell’insieme, nel complesso dell’opera — quella originalità forte, robusta, sicura ch’è la caratteristica dei capolavori — ecco una delle cose che più distintamente, e quasi più immediatamente si sentono nell'Aida. "Preludio — bellissimo — pieno di soave mestizia — caratteristico. Il pubblico avrebbe voluto applaudirlo — ma non osò rompere con lo strepito di un applauso moderno quell’atmosfera piena di religiosa solennità cui quel preludio lo trasportava — Vi si trovava così bene! — Verdi ebbe ragione di non cambiare quel preludio in una sinfonia — l’uno è così eloquente, dice tanto, e così bene che non potrebbe l’altra dir di più nè meglio. “ Romanza di Radamès — due sgorbi — uno per Fancelli — vuol dire oh! se Fancelli avesse il sentimento pari alla voce! — l’altro per l’accompagnamento che mi parve bellissimo. Si batte le mani, ma senza entusiasmo. “ Viene il Re col seguito — gran pezzo concertato — Bellissimo — Magnifico, terribile nella sua marziale energia l’inno di guerra. “ Resta sola Aida. — Dopo l'impeto della sonorità, la solinga tristezza della povera schiava. — Bellissimo il recitativo — Ritorna in esso il preludio ch'estrinseca la passione d’Aida. — Vi è un brano che mi parve assai nuovo e che rende con molta efficacia la lotta da cui è agitato il cuore di Aida — Si chiude con un bel cantabile tutto melanconia e dolcezza — la Stolz interpreta, colorisce, accenta meravigliosamente. — Grandi applausi.

"Cambia la scena. "Stupendo il canto interno — stupenda la musica del ballabile che gli dà tutto il carattere di un rito religioso. — Grandioso, ampio, solenne il canto con cui si chiude. — Cala il sipario. — Due chiamate a Verdi e agli artisti. "Atto secondo. — Grazioso il coro delle schiave che abbigliano Amneris — grazioso, originale, applauditissimo il ballabile dei moretti. — Bella la frase di Amneris: Vieni, amor mio, m’inebbria, ecc., che la Waldmann cantò con molta passione. «Gran duetto fra Amneris ed Aida — pezzo originale, assai espressivo che però non si gusta intero alla prima udizione. Vi è una bellissima frase nel mezzo quando Amneris cerca leggere in viso ad Aida il segreto della sua passione — si chiude con un melanconico ed affettuoso canto d’Aida — La Waldmann e la Stolz gareggiano di espressione e di accento. — Due chiamate a Verdi e alle cantanti. "La gran marcia trionfale. — Musica caratteristica. — Apparato scenico magnifico — gran lusso. — Ecco le trombe egiziane — il motivo che suonano ha un carattere locale assai pronunciato, il lavoro musicale è finitissimo — eppure mi aspettava maggiore effetto. — Si sente però il grandioso, e si prevede che piacerà sempre più. — Molti applausi. "Ecco Amonasro — Che stupenda figura di Etiope! — Pare staccato da un quadro di Orazio Vernet — Bravo Pandolfini — Il personaggio c’è — c’è nelle movenze, nella veste — in tutto — E com’è bello, altamente drammatico il suo recitativo! — e come lo dice Pandolfini!...proprio da grande artista! "Siamo al gran finale — Che potenza di orchestrazione! che potenza di dramma! — E' uno dei pezzi culminanti — E come spiccano quelle poderose voci della Stolz, della Waldmann, di Pandolfini, di Fancelli, di Maini, di Povoleri! — Che robustezza di sonorità — Come bene la rendono i cori e l’orchestra! "Il pubblico è rapito — indovina, sente, ciò che non comprende — il termometro sale a 20 gradi. La tela cade fra i gridi entusiastici del pubblico — Verdi esse conducendo con sè gli artisti e il maestro dei cori Zarini — Poi alla seconda chiamata si alza il sipario e Verdi viene attorniato da tutte le masse, e accenna ringraziando l’orchestra. — Gli offrono sopra un cuscino di velluto l’omaggio di cui ieri abbiamo parlato — Verdi è visibilmente commosso — Altre chiamate al maestro. "Atto terzo. — Le rive del Nilo — Un preludio! — Che freschezza, che limpidezza d’onde in quel preludio! — come le senti scorrere fra le roccie! — come ti par di respirare il rezzo dei palmizii — Come ci vedi il chiaro di luna! "La pittura della scena che fa Verdi con la sua musica, è assai pi bella, assai più pittoresca di quella che fa il Magnani sulla tela. “ Il coro interno che si ode dal tempio d’Iside completa il quadro. È una pennellata da maestro. «Romanza di Aida — Bellissimo il recitativo — il movimento d’orchestra con cui sono accompagnate le parole: Del Nilo i cupi vortici Mi daran tomba... e pace forse, ti rende tutta la immensità dell’abisso, e il rumore cupo delle onde che vi si precipitano — Caratteristica la romanza che segue — Chiamate a Verdi. «Duétto fra Aida e Amonasro. Mi pare uno dei pezzi più drammatici dell’opera — piacque molto — ma non fu ancora gustato in tutta la sua bellezza — La frase Su dunque sorgete — egizie coorti e la descrizione dello spettro della madre, fanno terrore — Pandolfini lo canta e lo agisce da grande artista — Così la Stolz — Due chiamate a Verdi. «Duetto fra Aida e Radamès — Non mi piace — e neppure al pubblico — Vi sono qua e là delle frasi, dei brani originali — ma mi pare, dirò anzi ei pare, slegato, in alcuni punti vulgare — La cabaletta contiene un pensiero originale, ma non chiaro abbastanza. Fancelli la canta bene — ma gli manca il sacro fuoco dell’arte — È un cantante, e nulla più. «L’atto si chiude un po’ freddo. Una chiamata a Verdi. _ _ «Atto quarto. — Tutto bello in questo atto. — Bellissimo il duetto tra Amneris e Radamès — Bellissima la scena dell’anatema che vien da sotterra — Ci vuol la voce di Maini per dargli tutto il rilievo — Bellissima la imprecazione di Amneris — La Waldmann ha dei momenti e degli accenti di vera ispirazione — Tre chiamate a Verdi. «Pezzo finale. — E il pezzo più colossale dell’opera — c’è vera ispirazione — non è più un canto — sono singulti, sono gemiti, è passioue, grande e e viva passione che prorompe... — Oh! se il Fancelli avesse la potenza drammatica della Stolz! — se avesse nel gesto, nell’azione, la passione, la intelligenza che ha nella voce! «Qui 1 entusiasmo non si misurò più a gradi. Verdi dovette comparire dodici volte al proscenio — conducendo con sè Faccio, che diresse l’orchestra con una sicurezza, e una forza grandissima, il maestro dei cori, il pittore, gli artisti, anche quelli che si erano già spogliati. «E qui la cronaca cessa.» La Lombardia dice: “ Il maestro Faccio siede al suo posto, distende la sua bacchetta — silenzio «generale. «Il silenzio durò poco; a quelle parole di Radamès (Fancelli) E a te, mia dolce Aida, Tornar di lauri cinto, Dirti: per te ho pugnato e per te ho vinto! [p. 46 modifica]46 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO gli applausi incominciarono. A quelle altre dell’a solo Un regai serto sul crin posarti, Ergerti un trono vicino al sol, gli applausi salutavano una nota acutissima e soavissima di Fancelli, precisamente a quella parola vicino. «La scena seguente fra Amneris e Radamès, l’altra dov’entra in scena il Re (Povoleri) con Ramfis, capo dei sacerdoti (Maini) il Messaggiere, ecc., ecc. il silenzio non è interrotto che verso la fine, ad un a solo di Aida (la Stolz) stupendamente detto. Al grido di guerra l’applauso diventa animatissimo e il maestro ha tre chiamate alla scena, ed una al monologo di Aida, che termina il primo quadro. «Cambia scena. Siamo nel tempio di Vulcano a Menfi, bella scena del Magnani che gli frutta una chiamata. «Ho trovato assai caratteristica l’introduzione, fatta con un canto di voci interne a base di musica religiosa. Non fu applaudita — ma afferrar tutte le bellezze musicali d’uno spartito in una sera non è possibile. Il pubblico applaude solo ciò che lo colpisce fortemente. Infatti applaudì il finale che è una preghiera che termina con una frase bellissima di Fancelli e di Maini. Il maestro ebbe due chiamate fragorose co’ due valenti esecutori — più la Stolz. «Nel secondo atto, noto, come cosa assai caratteristica, un ballo moresco di giovani schiavi, che ebbe grandi acclamazioni. Una frase di Amneris (la signorina Waldmann): Son tua rivale Figlia dei Faraoni detta con energia drammatica, s’ebbe alcune grida di brava; ma il seguente duetto fra le due donne ottenne acclamazioni entusiastiche. Così anche 1 a solo della Stolz, che meritò due belle chiamate all’artista e al maestro. «Nella scena seconda dello stesso atto l’immaginazione degli spettatori si trasporta ad uno degli ingressi della citta di Tebe, ed una splendida tela che la rappresenta richiama per due volte successive alla scena il bravo scenografo signor Magnani. «Un ballo di danzatrici che interrompe l’azione, mi parve aneli’ esso abbastanza caratteristico, ma un po’ confuso. È però bellissima la marcia egiziana e la processione delle truppe che, precedute dalle trombe egiziane, squillanti, sfilano d’innanzi al Re co’loro carri di guerra, le insegne, i vasi sacri e le statue degli Dei, compresa la comparsa di Radamès portato in sedia gestatoria e sotto un baldacchino, come Pio IX per l’anniversario di San Pietro. Le bandiere, gli emblemi, le statue e tutti gli altri monumenti simbolici dell’antico Egitto sono studiati sul vero; la scena è screziata, iridata, a mille colori, il tutto di buon gusto ed elegantissimo. Gli applausi prorompono con entusiasmo. E qui un buon complimento all’impresa — è troppo giusto.» Nel resto dell’atto le acclamazioni più strepitose sono per il pezzo concertato, che è di pretta ed egregia fattura italiana. Aida coi prigionieri e le schiave, Tanfis coi sacerdoti che ne vorrebbero l’immediata carneficina, il popolo che vuol placarne gli sdegni, il dolore di Radamès e di Aida, la gelosia di Amneris, la profonda dissimulazione di Amonasro che implora clemenza, tutto questo violento contrasto è espresso dalla musica di Verdi con una felicità inarrivabile. Vi sono miracoli d’intonazione, prodigi di colorito, un lavoro d’orchestra fatto con un’evidenza, una lucidità, uno stacco che commove, entusiasma e trasporta lo spirito a migliaia di secoli lontani da noi, con uno splendore di tinte locali, una ricchezza di tavolozza — forse esuberante — che abbaglia ed incanta. Pandolfini nella parte del re di Etiopia (Amonasro) dà un accento drammatico e tal forza di carattere al suo personaggio, che fin dalle prime frasi strappa una vera ammirazione. Tutto intiero questo concertato, pel quale avrebbesi voluto il bis, suscitò il più schietto entusiasmo — e lo meritò. Per difficoltà bene immaginate e vinte nell’esecuzione, proprio inappuntabile, quest’atto è il migliore dell’opera. La stretta fruttò tre strepitose chiamate all’illustre maestro; il finale una chiamata a tutti gli artisti; tre chiamate coi medesimi al maestro; una chiamata al maestro Zarini, direttore dei cori; poi il maestro è ancora rievocato alla scena e gli viene presentato il dono di un magnifico album.» Questa minuta enumerazione mi fa andar per le lunghe, ma continuerò con intrepidezza da cronista che registra un successo. «All’atto terzo che rappresenta le rive del Nilo (tela mediocre) la romanza di Aida, 0 cieli azzurri, o dolci aure native è applaudita e il maestro ha un’altra chiamata; il duetto seguente della Stolz con Pandolfini è applauditissimo, e gli artisti sono festeggiati in tutta la scena per la bellezza del loro canto e l’azione drammatica che vi spiegano. Il maestro e i due valenti esecutori hanno due chiamate. Bello è anche il duetto fra donna e tenore, quantunque arieggi la musica francese di stampo gounodiano. «Il grande compositore ebbe altre due chiamate. «In questo atto i due duetti sono forse troppo lunghi; l’atto stesso ha il difetto che si riscontra anche nel primo — una chiusa che manca di calore, malgrado le peregrine bellezze di che va sparso. «Nell’atto quarto è bella la scena che figura una sala nel palazzo del Re. «Ecco i pezzi maggiormente applauditi: il declamato e il pezzo melodico — se così mi è lecito dire — di colore avvenir esco e il duetto fra la Waldmann e Fancelli, dove alcuni gridi di brava vanno all’indirizzo di Amneris. E qui noto un luogo bellissimo: Al punto che Radamès parte circondato dalle guardie e che Amneris si lascia cader desolata per l’abbandono di Radamès, odesi un movimento d’orchestra composto di contrabassi, violoncelli e viole, che è d’un effetto magico ed irresistibile. Fu applaudito a furore e il maestro evocato alla scena. Tutto quanto segue di quest’atto ha un’efficacia, una gioventù d’ispirazione, un effluvio di delicatezza che innamora. Io non so se dopo Palestrina si scriverà una musica d’un’accentuazione più profondamente e cupamente religiosa del canto interno dei sacerdoti in contrasto colla disperazione che strazia il cuore di Amneris. E un’invocazione ed in pari tempo uno scongiuro; salmodia tetra, crudele, nella quale risuona stentorea la voce di Ramfis che grida a riprese pei’ tre volte il nome di Radamès, a cui altre voci rispondono: A’ traditor! morrà. E come l’eco d’un’agonia sotterranea che sale e sale minacciosa, insistente e terribile, finché quei suoni muoiono lentamente allontanandosi. «Tutta questa scena ebbe ovazioni frenetiche, continuate nella scena seguente ed ultima, efficacissima e solenne tanto da mettere i brividi. «Nel duetto fra la Stolz e Fancelli, Verdi volle provare che egli — quando lo invoca — sa trovare il Verdi della prima maniera. La frase del tenore: Morir’sì pura e bella è non solo melodicissima, ma d’un’originalità splendida ed affascinante. «A sipario calato ho contato otto chiamate alla scena, quando al maestro solo, quando agli artisti. In tutta l’opera trentacinque chiamate. Le ultime | erano accompagnate da un agitar di cappelli, da uno sventolar di fazzoletti,; da grida entusiastiche di Viva Verdi! Nella platea e nei palchi tutti in piedi i — una vera festa dell’arte — un successo straordinario, unico.

«In una prossima appendice, parlandovi del libretto (che è forse il più bel

libretto che da Romani in qua si sia scritto da poeti italiani) e della musica, toglierò qualche fronda; non temerò di dire che trovai delle spostature nelT esecuzione e temprerò la lode col biasimo.» Il Secolo si riserva a parlare della musica dopo averla udita meglio; ecco quello che scrive intanto: «Comincio dal premettere essere già molto tempo che non si è pubblicato un libretto d’opera cos ì ben fatto come questo dell’Aïdâ. «L’azione: breve, chiara, accalorata, ricca di episodi! e di effetto, ha tutti i requisiti per rispondere alle buone qualità di un libretto da melodramma. La parte letteraria è accurata; i versi sono versi e talvolta anche buonissimi; i caratteri ben delineati, le parole appropriate alla passione del momento. «Della musica dirò in una prossima Appendice, D’un colosso così complesso nella sua struttura non si può parlare, nè lo si deve, dopo una prima udizione. Verdi nell’Aida, ha fatto un altro passo verso i così detti Avveniristi. Tutte le antiche forme furono bandite; senza sagrificar troppo alla musica descrittiva, nè frazionare le idee musicali nell’espressione di una parola o di una frase le ha descritte e scolpite, mantenendosi melodico sopratutto, ma seguace della nuova scuola. «Ammirabile specialmente per la condotta, per la profonda filosofia, per fusione e colorito, lo spartito dell’Aida è venuto ad accrescere le glorie artistiche del nostro paese, ad aggiungere un fiere di più alla già ricca corona del grande maestro.» E il Corriere di Milano:» Il breve preludio che precede l’opera passò in silenzio. Si udirono segni d’approvazione dopo la romanza cantata deliziosamente da Fancelli (Radamès). L’entrata della Stolz (Aida) fu salutata da una salva d’applausi. «I primi applausi indirizzati al maestro scoppiarono dopo l’inno di guerra Verdi si presentò tre volte a ringraziare il pubblico. «La grand ’aria della Stolz che chiude la prima parte del primo atto e che in un punto ricorda il Lohengrin, come lo ricorda la precedente romanza cantata da Fancelli, passò freddamente Fu seguita da applausi, ma alquanto contrastati: il maestro s’ebbe una chiamata. «La scena’figurante il tempio di Vulcano valse una chiamata al Magnani. Il ballabile delle sacerdotesse piacque, e più ancora piacque la musica. Alla fine dell’atto, il maestro fu di nuovo chiamato due volte. u Nel secondo atto il ballabile delle fanciulle negre piacque, ma non s’udirono applausi fino al duetto fra Amneris (signora Waldmann) ed Aida. Durante questo duetto si gridò brava! alle due cantanti; si applaudì dopo il penultimo tempo, ed in fine l’autore ebbe due chiamate. «La scena seguente, rappresentante uno degl’ingressi della città di Tebe, i valse due nuove chiamate allo scenografo. Le trombe della marcia trionfale I suscitarono un po’ di malumore, ma dopo la marcia si battè le mani. Il sestetto che segue provocò due chiamate al Verdi, ed il clamoroso finale dell’atto ne provocò non meno di cinque. In una di queste, essendosi rialzato il sipario, fu presentato al Verdi, sopra un cuscino di raso bianco a frangie dorate un ricco dono offertogli da una società d’artisti.» «Il terz’atto avviene sulle rive del Nilo, di notte. La scena piacque, ma una terza chiamata allo scenografo fu con ragione, repressa. La romanza di Aida diè luogo ad una nuova chiamata al maestro. Il duetto fra Amonasro ed Aida suscitò segni d’entusiasmo e meritò ancora due chiamate ’al Verdi; due altre il duetto fra Aida e Radamès. Calato il sipario, il pubblico volle rivedere ancora una volta l’autore. «Il quarto atto segnò il punto culminante del successo. Il monologo di Amneris fu seguito da una chiamata, e la scena del giudizio di Radamès da [p. 47 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 47 due. Questa scena parve però alquanto lunga» La seconda parte dell’ultimo atto portò al massimo grado l’entusiasmo. Gli applausi scoppiarono in due punti ed il sipario scese fra universali clamori e battute di mano. Il maestro e artisti ebbero non meno di sette chiamate. Prima si presentarono il maestro ed i tre cantanti che hanno parte al finale, poi si aggiunsero a loro Maini, Pandolfini, il maestro Zarini ed il maestro Faccio direttore dell’orchestra. Verdi si presentò due volte solo. Il pubblico agitava in aria i cappelli ed i fazzoletti. Fu una scena indescrivibile; uno dei maggiori trionfi che Verdi rii cordi nella sua splendida carriera artistica. Chiudiamo colle parole del Sole’. «L’opera si apre con un preludio annunziato nei violini in cui la frase dominante, che è quella del duetto fra Aida ed Amneris — Amore! amore! gaudio.. torménto — è svolta a guisa di fugato. Questo preludio, forse tessuto un poco colla forma di quello del Lohengrin di Wagner, è un fino gioiello di fattura. I primi applausi risonarono l’altra sera alla romanza di Fancelli — Celeste Aida, forma divina. «Sono assai belli gli episodi! drammatici nel duetto fra "Amneris e Radamès, specialmente quando la prima, scrutando il cuore dell’amato, gli dice — Non hai tu in Menfi desiderii... speranze. «L’uscita del Re ricorda, nel pizzicato dei bassi, un andamento simile nella scena della consacrazione degli sposi nell* atto quarto dell’Africana. ««Uno dei più bei pezzi dell’opera è certo l’aria di Aida con cui si chiude la scena prima: è pieno di sapore classico tutto il lavorìo istrumentale che precede la bella frase finale — Numi pietà del mio soffrir. «È fra le cose le più belle va pure annoverato il canto delle sacerdotesse in la bemolle, accompagnato dalle arpe. E da notarsi un certo re bequadro su d’un accordo di la bemolle minore, il quale re bequadro invece di risolvere in su, risolve in giù sul si. Peregrina è la danza con quel ritmo carezzante e voluttuoso nei flauti e non ricordiamo più quali altri strumenti di legno. Di molto effetto riesce, quando è eseguito, come alla Scala, da grandi masse, il coro — ■ Nume, custode e vindice — con quegli attacchi nel genere fugato che aumentano poco a poco la sonorità del pezzo. «Nell’atto secondo la scena si apre colla toletta di Amneris; la sua sala non ei sembrò nè degna d’una principessa dei Faraoni, nè degna del Massimo Teatro. Il coro d’introduzione è melodiosissimo e popolare in quell’uscita a risposte alternate — Vieni sul crin ti piovano. Piene di passione le frasi di Amneris — Vieni amor mio, mi inebbria. — La danza dei moretti è graziosissima cosa; vi trapela un certo fare d’una danza ebraica nella Regina di Saba di Gounod. Il pezzo è benissimo concluso dalla ripresa del coro. Il duetto delle due donne annunziato da peregrini parlari, ricco di forza drammatica e di lavoro orchestrale, specialmente nel quartetto d’arco adoperato con rarissima maestria, conchiudesi col richiamo della frase finale dell’aria di Aida «Poco felice ei sembrò il coro delle donne nella seconda scena di questo secondo atto — S’intrecci il loto al lauro. — Ci parve deficiente di festività. Il fugato successivo fu l’altra sera compromesso dall’esecuzione. Il Bottesini al Cairo lo ha levato via come cosa assai arrischiata.» La marcia l’abbiamo poco capita, e qui ei parve dubbio l’effetto delle trombe; cioè non punto dubbio, poiché le stonature furono sicure. Il tema della marcia è probabilmente cosa egiziana. In tutti i modi riudiremo la composizione per farcene idea più giusta. «Il pezzo concertato è di grandiosa struttura e rende grande effetto di sonorità. Vi si nota nell’incalzare verso la cadenza una bellissima e potente frase. Qui furono indescrivibili le grida e gli applausi del pubblico. «Anche la tela del terzo atto è assai poco caratteristica; è in compenso assai caratteristico il coro nell’interno del tempio — 0 tu che sei d’Osiride — Sono finissimi i dettagli orchestrali della romanza di Aida — 0 cieli azzurri — ■ con quel ritornello del corno inglese di tinta leggermente gounodiana. È anche da notare l’alternarsi della tonalità maggiore e minore. «Nel successivo duetto è una bella pagina di musica dramatica l’invettiva di Amonasro — Su dunque sorgete egizie coorti, — rincalzarsi della furia terribile del Re, la maledizione. L’orchestra sembra qui parlare e singhiozzare. Ed un singulto difatti sembra il sincopato dei violini disegnante una scala ascendente. E questo uno dei dettagli che maggiormente rivelano tutto il sentire del compositore. “ Bene ideato è pure l’accompagnamento marziale delle due trombe nel seguente duetto fra Aida e Radamès — Nel fiero anelito di nuova guerra — ricco di frasi peregrine. E forse un poco ozioso e poco adatto alla situazione, il brano sulle parole — • Fuggiam gli ardori inospiti — meglio sarebbe stato qualche cosa di più passionato e concitato. Ma è bellissima la frase in maggiore — In estasi ignorate — L’allegro ne è poco felice. In questa scena finale è da notarsi l’insistenza della ripetizione delle parole — • Io son disonorato — poste in bocca a Radamès, di effetto assai drammatico. «L’atto quarto è tutto efficacissimo per potenza lirica. Nel recitativo di Amneris trovammo un interessantissimo episodio cantabile nei violini sulla quarta corda. Il duetto fra Amneris e Radamès è pure ricco di bellissime frasi, all’infuori della cabaletta.» Maestosa è la musica nella scena del giudizio. E quanto mai bello l’episodio dei violoncelli che precede l’invocazione sacerdotale. Forse le tre accuse che si fanno a Radamès, riescono in teatro un po’lunghe. Ma il tre è il numero filosofico, e sarebbe peccato di mettere le forbici in questa situazione musicale. “ L ultima scena è melodiosissima e toccante: è originalissima nella sua semplicità l’uscita in Sol — 0 terra addio, addio valle di pianti — con quel salto di settima maggiore. È grandissimo l’effetto degli archi. L’opera non poteva avere chiusa migliore: la ripresa dell’inno delle sacerdotesse la incornicia degnamente. «Lo stile della musica è costantemente uno in tutto il corso dell’opera, ma la fibra originale di Verdi è qui in parte velata dall’apparato della tavolozza descrittiva (1) VARI fTf Dono-a Verdi. — Il dono presentato a Verdi dopo il secondo atto dell’opera, consiste in un magnifico astuccio in velluto rosso, fregiato in oro, collo stemma della città di Milano, ed il nome Aida pure in oro. Contiene una stupenda pergamena, opera dello Speluzzi, su cui si legge l’indirizzo che diamo più sotto; accompagna questa pergamena, un ricchissimo scettro simbolico in avorio, sulla cui parte superiore havvi una stella in brillanti; un capitello romano dell’epoca degli imperatori serve di base a questa stella: intorno alla bacchetta d’avorio corre un nastro di smalto bleu, portante il nome di Verdi; il nastro è intrecciato da un ramo di alloro, in smalto a smeraldi e rubini: al basso le armi di Milano e di Busseto, città natale di Verdi, ed il nome A Aida in pietre preziose. Il disegno è pure dello Speluzzi. Fu per tale scopo aperta una sottoscrizione fra la cittadinanza, iniziata dal barone Eugenio Cantoni, dal signor Alessandro Poss e dal conte Pompeo Beigioioso. Migliaia di cittadini vi presero parte. I signori barone Cantoni e A. Poss si presentarono a Verdi dopo finita l’opera: l’illustre maestro era oltremodo commosso, e colla più viva, la più cordiale espansione li pregò a volersi fare interpreti della sua ineffabile riconoscenza per questa testimonianza di affetto, la quale, aggiunta alla splendida accoglienza del pubblico, renderà incancellabile nella sua anima la serata d’ieri. L’indirizzo è il seguente: Milano, 8 febbraio 1872. A GIUSEPPE VERDI. Illustre Maestro! Alcuni fra i tanti ammiratori del vostro genio, desiderano che accogliate il ricordo affettuoso che, quale omaggio, vi dedicano. I milanesi sono esultanti, orgogliosi dello splendido trionfo d’Aida, che si collega per virtù di memoria incancellabile, a quello dei vostri primi lavori, qui consacrati da quello stesso pubblico che allora previde in voi il grande compositore, il vigile custode delle gloriose tradizioni italiane. Il simbolo, che sotto forma di scettro vi offriamo, vi appartiene di diritto: accettatelo, non come volgare dimostrazione adulatrice, ma come espressione del cuore di tutti noi, commossi al fascino delle vostre ispirazioni. Pei Sottoscrittori, il Comitato E. Cantoni — Pompeo Belgiojoso — A. Poss. Rivista Milanese Sabato, IO febbraio. Uno scherzo non si discute e si accetta ad occhi chiusi. Verissimo. Quando però non abbiate a fare con un bello spirito che voglia farvi passare per uno scherzo un pugno sopra un occhio; questo genere di scherzi si accolgono di solito ad occhi chiusi, ma si possono discutere. So adunque che avrei il diritto di discutere la nuova fiaba Kakatoa di Scalvini, rappresentata a quest’ora otto o nove volte al teatro Santa Radegonda, ma non ne farò nulla. Per poco che ad intervalli si fosse intravveduto un baleno di spirito, per poco che la tela avesse mostrato tanta unità da farla credere il lavoro d’una mente che pensa, la critica sarebbe stata possibile, ma in tanto vuoto di idee, in tanta miseria di frasi spiritose che fanno cilecca, in tanta sconnessione di idee, il dirne qualche cosa è fiato sprecato. Tre o quattro re che si fanno la guerra, si spogliano a vicenda, si aiutano, cantano dei couplets, il tutto senza ragioni visibili; un principe Grazioso che ama Fiamma, una Fata Rabbiosa che tramuta Fiamma in un papagallo (Kakatoa), una Refi) Per mancanza di spazio dobbiamo rimandare ad altro numero alcuni brani interessanti dell’appendice di Filippi, nella Perseveranza. [p. 48 modifica]48 GAZZETTA MUS IC ALE DI MILANO gina delle fate che restituisce al papagallo le forme di donna e lo dà in moglie al Principe Grazioso, un certo Flanella che è sempre dove non dovrebbe essere ammazzando il prossimo colle sue sciocchezze, un reggimento che fa il rancio colle pillole di Brera e ne sente gli effetti al momento della battaglia— colla scena che si trasporta ora nel regno delle pipe, ora nel regno di Liliput, ora nel regno dei metalli, senza che si indovini mai con quale occulto disegno — tutto ciò è il delirio d’una mente poco sana; è ancora un pugno sopra un occhio, ma regalato da un ebbro a cui non si può che perdonare. Scalvili i con questa sua seconda fiaba ha ottenuto un solo successo incontrastabile, ed è di aver convinto i più ritrosi che la sua Principessa Invisibile di buona memoria era un capolavoro. Tutta questa insipidaggine di parole e di idee ha però una splendida cornice, vale a dire vestiarii ricchi, di buon gusto e svariatissimi, buone scene, e bellissima musica, il tanto che basta ad assicurare al Kakatoa un centinaio di rappresentazioni. Mi arresto volontieri alla musica, che è in massima parte di Offenbach, ma che fu rubata con molto giudizio e collocata bene da un giovine maestro che ha un bel nome ed anche un bell’ingegno, Luigino Rìcci. Un coro di muti che parlano, una stupenda serenata che diventerà popolarissima, la canzone di Mascanbrone, il coro delle pipe, l’aria di Chibouk, il rondò del Kakatoa, il quartetto dei gioielli, e qualche altro sono veri capilavori del genere buffonesco... Il maestro Ricci ha però in dosso anche lui la malattia di parer dotto e capace sul serio, e invece di imitare alla meglio i modelli del genere che aveva saputo rubare cosi bene, credette che dopo un motivo di Offenbach gli fosse più facile far accettare a modo di varietà il suo seriume; molte romanze, qualche duetto, e il finale del prologo sono certo musicalmente pregevoli, ma starebbero assai meglio in una messa funebre che a braccetto dei couplets di Offenbach. L’esecuzione fu discreta; la signora Mary Brown vi ebbe i primi onori, piacque anche il signor Fabris, che fa la parte di Chibouk, un sultano che canta in nota di eunuco come potrebbe fare un soprano assoluto. Giorni sono andò in scena al teatro Carcano il Rigoletto. Raramente si ha la ventura di assistere a simili trionfi, che non si sa bene se siano da attribuire più al merito degli artisti o alla buona volontà del pubblico. Certo il baritono Viganotti, che si mostrò al solito artista vero e cantante abilissimo in tutta l’opera, meritava d’essere chiamato quattro o cinque volte al proscenio dopo la cabaletta, Sì vendetta, tremenda vendetta, e di ripetere il pezzo. E la signora Rosburgh, che ha una vocina simpatica e arte di modularla, meritava forse d’essere trascinata nello stesso trionfo; ma a tutto il rimanente l’entusiasmo era proprio di troppo. Il tenore Brunetti ha una voce soavissima, ma ineguale. Dalle sue note basse alle note di mezzo ei è un’erta faticosa, dalle note di mezzo alle acute ei è un monte tagliato a picco; il suo metodo di canto assomiglia naturalmente alla ginnastica di chi dovesse vivere in una natura tutta seminata di avvallamenti e di intoppi; è costretto a saltare affaticandosi ed affaticando. Ha per altro momenti felicissimi, in cui la purezza del timbro della sua voce, che è delle rarissime vere voci di tenore, strappa l’applauso. Una Maddalena lodevole fu la signora Core; mediocri gli altri; discreti i cori, e l’orchestra, salvo alcune stonature, accurata. ■ Alla Scala prima dell’andata in scena dell Aida ei furono due i magre rappresentazioni coi due balli Velleda e Figlie di Chèope riuniti e col primo atto dell’opera II Giuramento. Ciò venne ì fatto per lasciar riposare Fancelli e Perotti che è ammalato;; infatti in quel primo atto del Giuramento cantò straordinaria. mente il tenore Cesari, il quale non ostante i confronti seppe farsi applaudire. Continua con esito lieto alla Canobbiana il nuovo ballo II Genio della terra; sembra che a punire l’astro che nelle prime sere acciecava il pubblico, il coreografo abbia pensato ad un’eclissi totale, ma io non ne sono sicuro, perchè non ebbi più nè il tempo nè la voglia di ritornarvi. Salvo il Re (vecchio), gli altri teatri di prosa sono occupati dispoticamente dalla parodia. Abbiamo sempre un’Aida al Fossati, un’altra Aida al Re (nuovo), un Nerone, la Forza del destino e I promessi sposi alle Marionette. Al Re (vecchio), ebbe buon esito la nuova commedia le Tentazioni di Muratori, e si annunzia per questa sera Perchè il cavallo gli si guarda in bocca? di Leopoldo Marenco. Al Fossati giorni sono fu eseguito un dramma Cola Montano del signor Poggi a benefìcio del Fondo delle vedove dell’Istituto Tipografico. So che l’esito fu buono anche dal lato finanziario. TALLA RINFUSA G. Dallo compose e consegnò al teatro di Konigsberg una nuova opera in cinque atti, Araldo, l’ultimo re di Sassonia, che verrà rappresentata nel venturo settembre. Giovanni Strauss sta scrivendo una nuova operetta. Nella prossima primavera egli si recherà a Pietroburgo, e nell’estate a Baden-Baden, dove percepirà franchi 42,000.

  • Nella vendita di autografi del lascito del console Clauss a Lipsia, una

lettera originale di Beethoven (6 pagine) fu pagata talleri 74; una lettera di Haydn fu comperata per talleri 53, una composizione dello stessOj per talleri 60; manoscritti di Mozart per talleri 91 e 71. La Società dei Sinfonisti di Parigi sta per riprendere le sue sedute. L’Ombra di Flotow ebbe lietissimo esito ad Angers.

  • A Vicenza, nella sala della fabbrica di pianoforti Maltarello, ebbe luogo

un’accademia musicale a cui prese parte il professore di clarino Ferdinando Weiss-Busoni. I giornali fanno grandi elogi al concertista. La Società del teatro nuovo di Padova deliberò un aumento di 4000 lire alla dote per la stagione di fiera; e il Consiglio Comunale aggiunse altre 6000 lire. La signora Parepa Rosa, reduce in Nova Jork da un giro artistico, darà in quella capitale un altro corso di rappresentazioni d’opera inglese. L’Arpa di Bologna ei dà una buona novella: Mariani, che era finora ammalato, è convalescente e fuori d’ogni pericolo. Il Municipio di Lugo ha votato lire 15000 di dote per avere un corso di rappresentazioni (non meno di 12) nella stagione di fiera di settembre. Al teatro Comunale di Ferrara piace da molte sere la Lucia. A Perugia, in occasione della beneficiata della signora Flavis-Cencetti, fu molto applaudita una sinfonia del maestro Scudellari a piena orchestra. La seratante eseguì col buffo Baldelli il duetto del Crispino e la Comare e fu accolta con feste. A Torino, in una sala dell’Opera della Provvidenza, gli allievi diedero saggi musicali che riuscirono benissimo. Il cav. Tempia, maestro dell’istituto, eseguì sul violino un pezzo che gli valse vivi applausi. II Journal de Nice parla d’una serata in cui il vecchio e celebre Tamburini cantò T aria della Sonnambola con una voce che non ha cessato di essere piena (sic). Tamburini ha oramai 73 anni o poco più!!!

  • Riccardo Wagner fu nominato membro onorario della Società degli amici

della musica di Vienna. Il Conservatorio Regio di Stokolma celebrò il 2 dicembre 1871 il centesimo anniversario della sua fondazione. Un nostro egregio corrispondente, in cui abbiamo gran fede, ei annunzia l’apparizione a Lecce d’una nuova stella canora. Miss Rose Isidor, allieva del maestro Garcia e di Lauro Rossi, «ha voce non molto robusta ma di un timbro vellutato ed è un prodigio nel modo di canto.» Esordì nei Puritani e nella Lucia, e in entrambe queste opere destò vero entusiasmo. Buon esito al teatro delle Variétés di Parigi la Revue en ville fantasia dei signori Clairville, Siraudin e Koning. A Taganrog ebbe esito infelice una nuova opera in musica del maestro Fenzi, intitolata: I prodi di Mosca. N Il professore di canto P. Goldberg, francese, fu nominato cavaliere della Corona d’Italia.

  • E il celebre baritono Faure, prima di lasciare Bruxelles, ricevette dalle

mani del Re del Belgio le insegne dell’ordine di Leopoldo. A4- Il matrimonio di Mario con una miss inglese di 22 anni era un canard inventato probabilmente da un reporter francese a coro di notizie à sensation. [p. 49 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 49 ^Napoli, febbraio. Udiste mai a parlare di quel barbassoro, che, avuta in retaggio un’antica biblioteca di famiglia, ricca di opere ed edizioni rarissime, determinato a rinnovarne elegantemente gli scaffali, diede all’artefice uno dei libri di minor sesto, prescrivendogli di costruire su quella misura la biblioteca, e chiamato poi un legatore di libri volle che tutti i volumi fossero ridotti all’altezza medesima? Non vi sentite i rossori sul volto allo imaginare a quali tremende mutilazioni, a quale scempio fosse sottoposto tutto quel tesoro & in-folio, & in-quarto, insieme coi Manuzi e co’Bodoni! Identico scempio ordinò il Musella, senza punto scolorirsi in volto. Voi immaginate di qual commozione deve essere agitato ogni amatore di musica quando sappia che la maggior parte dei pezzi èoW’Anna Bolena. furono manomessi o spostati per favorire la insufficienza di mezzi di qualche artista. Adattare un qualche passo e far delle puntature per agevolare i mezzi degli esecutori diversi da quelli pei quali fu originariamente scritta un’opera è necessario, egli è fuori di dubbio, ma questi mutamenti non debbono danneggiare il concetto generale della composizione, nè alterarne l’essenza. Ora se nel compositore è affare di sommo rilievo il sapere bene scegliere le tonalità, perchè sono desse quelle che influiscono alla verità della espressione, non capisco perchè permettasi ai cantanti, dei quali i novantanove su cento ignorano la scienza musicale, di trasportare i pezzi, di far certe sacrileghe soppressioni. Sono gli artisti che debbono essere, per quanto si può meglio, adatti all’opera, non questa dev’essere accomodata alle esigenze degli artisti; e quando si voglia ad ogni costo far rappresentare una composizione musicale da esecutori, i cui mezzi vi si mostrano ribelli, avverrà ciò che è avvenuto alla Balena, ciò che avvenne ai volumi in-folio del perspicace barbassoro. Dopo ciò la Krauss disconobbe sè stessa e scese un po’ giù dalla stima del nostro pubblico. Il Barbacini obliò che il grande Rubini, quando mori, 17 anni or sono portò seco nella tomba due opere: Anna Balena e il Pirata. I tenori odierni, per cimentarsi in essa, debbono avere dalla natura il dono di poter cantare su le note acute con la massima facilità, debbono aver forza e grazia di voce che a tutto si pieghi, laonde è necessario che nulla abbiavi di stentato, ma che tutto all’incontro sia naturale e spontaneo. Nelle poche note acute la voce del Barbacini manca di forza, nelle medie poi lascia a desiderare maggiore uguaglianza, chè taluni suoni riescono spiacevoli per essere troppo aperti, e codesta disuguaglianza nel modo di emettere i suoni nuoce talvolta alla sua intonazione. Il Barbacini ha pertanto eseguito qualche cantabile con accento sufficientemente corretto e con una verità di espressione abbastanza naturale. Del resto non ho gran che a dire, perchè i pezzi che veramente costituiscono il bello della sua parte e della protagonista subirono la sorte degli in folio. 11 basso Angelini che seppe destare due anni or sono tutte le simpatie del pubblico, ritorna pure in questa stagione artista sicuro, ma la voce del cantante non è più quella. La Tati disse mezzanamente la sua romanza: Ah non voler costringere; della Rossi, dei cori, dell’orchestra, del vestiario, dello scenario non ragioniamo con quel che segue. Sursum corda; lasciam da banda la povera Bolena; quattro passi più innanzi ed eccoci al Mercadante, dove si rappresenta l’opera dell’Usiglio, le Educande. Che volete vi dica? voi udiste già lungamente questo acconcio lavoro di composizione melodica; ne dirò poco o nulla; come Macbeth, l’Usiglio evoca tutti i maestri passati e presenti, ne prende le più favorite idee, e le aggiusta sul suo libretto Gran problema in verità ha sciolto il maestro Usiglio; quello di piacere senza essere per niente originale! Augurando agli altri compositori siffatta ventura chiudo questo libro e comincio a leggerne un altro, scritto con grande varietà di caratteri e aperto per coloro che vanno a studiare al Politeama. È questa nuova opera divisa in tre volumi e scritta dal Gualtieri e dall’Alberti; s’intitola Oreste. Che bel compito fu per un critico! farebbe qualche volume! Figuratevi ei comincierebbe a parlare della guerra di Troja, della vera famiglia degli Atridi, di Omero, di Elettra o Laodice, secondo T autore dell’Iliade, del destino di Oreste, della sua nutrice chiamata Arsinoe da Pindaro, Laodamia da Ferecide e Gelissa da Eschilo, tratterebbe della trilogia greca, dell’Alfieri, dell’ignoranza dei comici che ostinansi a far di Egisto un vecchio e brutto, mentre dovea essere giovane e avvenente. Io poi non andrò per le lunghe, nè spenderò molte parole, perchè a vagliar convenientemente i pregi e i difetti di questo nuovo lavoro dell’Alberti bastano poche. L’Alberti è giovane di molto ingegno; ed è un ingegno che ha dell’ardimento; l’aver prescelto a soggetto T Oreste vai per ogni altra prova. Egli per secondo lavoro scrive una tragedia che il Mercadante avrebbe rifiutato di porre in musica. Se YOreste fosse caduto si sarebbe potuto dire: Onore al coraggio sventurato: l’Oreste trionfa, si ripete: la fortuna è per gli audaci. Ma non voglio più farvi sospirare un po’ di modesta critica; andiam chè la via lunga ne sospinge. Per quanto mi sappia è la prima volta che Y Oreste è ridotto a melodramma; ma per le liriche scene, l’argomento fu trattato alla moderna; Pilade non m’appare più tanto simpatico, poiché nella nuova edizione egli ha il cuore diviso fra Oreste ed Elettra, e.... ce que femme veut, Dieu le veut. Oreste potrebbe pur chiamarsi Placido, Pacifico, sarebbe lo stesso; quando poi il poeta gli fa serpere le furie nel seno, allora il maestro sospira affettuosamente col violoncello. Dissi che il soggetto è trattato alla moderna, e lo sostengo; v’hanno tutte quelle cose che i giovani vogliono per forza rimpinzare nelle loro opere, congiure, brindisi, racconti; mancano soltanto i frali, ma se ei fossero stati non avrebbero ingenerato nessuna meraviglia poiché le baccanti danzano in musica di valzer. Ciò posto il maestro Alberti ha due torti, la scelta del soggetto, troppo elevato per gli omeri che avevano sollevato prima un peso di poco conto, vo’ dire la sua prima opera Armando e Maria, T aver voluto sacrificare alla bramosia di apparir dotto la naturalezza del fare. Ecco un altro difetto dei giovani; trovano spesso una melodia semplice, ’chiara ed espressiva, pongonla sotto il torchio della scienza e la fanno venir fuori così contraffatto che giunge a male pena a farsi riconoscere come melodia! Il torchio della scienza dell’Alberti non è ancora perfetto, ei va ancora balzelloni per le vie dell’armonia e del contrappunto, ma il suo estro appare non infecondo di nuove e sentite ispirazioni. Vi ha un duetto tra Elettra e Pilade che accenna nel compositore una vera disposizione all’originalità scevra affatto da qualsiasi imitazione, e un si raro privilegio apparisce pur anco qua e là nell’opera in mezzo a molta roba frivola e saltellante. Oggi lo strumentale, più che un accessorio od ornamento delle idee melodiche, serve per sè solo alla espressione dei concetti drammatici, e deve essere improntato di quel colore locale che costituisce, sono per dire, la sinfisi del concetto generale. L’orchestrazione dell’Alberti non n’ha sempre quella magniloquenza e severità che debbono farci ricodare tempi molto remoti e avvenimenti truci; è talfiata vuota e leggera, tal altra complicata, tal’altra barocca. Coltivi ancora T Alberti buoni e severi studi; credo che possa bene considerarsi questo secondo parto come il primo fiore di un albero, e conchiuderò con la fiducia portami da qualche brano del lavoro medesimo: Che vero frutto verrà dopo il fore. Poche parole ancora: l’esecuzione èeYY Oreste affidata ad artisti di pochissimo valore non fu felice; ma l’orchestra diretta dal valentissimo De Giosa andò benissimo Al teatro Nuovo la Rivista del Castelmezzano e del Bartolin, cadde completamente. V’erano ben dicìasette pezzi di musica, e autori fra principali rappresentanti èeYYart à paillettes, come direbbe un francese. Figuratevi che orrori; fra tanto loglio vi fu del buon grano degli ubertosi campi del De Giosa, del d’Arienzo, del Ruta, del Raejntroph e di un giovane, il Meola che scrisse una graziosissima romanza. Il Meola ha un ingegno promettente, è allievo del cav. Claudio Conti, uno dei pochi maestri di composizione che proibiscono agli allievi di affastellar tutti i generi e gli stili in un lavoro di poca lena. Guai al San Carlo e serii. Teatro chiuso; la Krauss vuol sciogliere il contratto, l’imprésario va in cerca d’un’Agnese per la Beatrice e il Barbiere non mette ancora bottega. Acuto, Venezia, 8 febbraio. Mentre nel magno teatro della vostra gentile Milano ferve potentemente la vita, mentre nel vostro massimo tempio consacrato ad Euterpe è imminente una splendida festa musicale in omaggio al più grande compositore vivente, qui alla nostra Fenice spira tale un alito di morte che è una disperazione. [p. 50 modifica]La Mignon è un lavoro ben fatto, ma non risponde al gusto italiano: è un lavoro diligente, ma non vi è nè ispirazione, nè nerbo, nè vita. Tuttavolta con una esecuzione più accurata, è lavoro che può reggersi in teatri minori (anche perchè si può meglio raccogliere quanto sfugge e si perde in un grande ambiente ), ma in un grande teatro qual’è la nostra Fenice e con una esecuzione, da parte dei cantanti, inferiore al mediocre, la Mignon è opera impossibile. Si dovette quindi ritornare alla Jone, ma egli fu tomber de la fièvre en chaud mal, che è quanto dire cadere dalla padella nella brace. Questa sera ei danno il Macbeth e si potrebbe presagire quale ne sarà l’esito... ma non voglio essere l’uccello del malaugurio e perciò mi taccio. Vi fu minaccia di sciopero da parte dei coristi della Fenice, ma il pericolo venne scongiurato dall’intervento della Presidenza che assunse formale garanzia verso il corpo corale. La è davvero graziosa: la Presidenza, d’ordinario tanto sofistica come una vecchia donzellona in eterna aspettativa del marito, si fe’ tanto imporre nella corrente stagione dall’impresa da subirne d’ogni risma e d’ogni conio. Essa si fece scacciare di casa propria, perchè non la si è voluta alle prove; essa pose tanto facilmente il suo placet a programmi di spettacoli informi; essa, infine, si assume di pagare quello che dovrebbe pagare l’impresa. Ma in qual mondo siamo, signori miei? Al Camploy le cose vanno bene e bene assai. - Il Trovatore fruttò non pochi applausi alla Ferni, a Giraldoni ed al tenore Aramburo; ma tutti e tre figuravano assai meglio nella Favorita, tant’è vero che essi stessi l’hanno compreso per effetto di quel buon senso, che, sventuratamente, è assai raro negli artisti, e ripresero quest’ultimo spartito. - Si sta provando la Saffo che avremo in quaresima. Al teatro Rossini nella notte del 31 gennaio passato vi fu una festa mascherata a beneficio di operai senza lavoro. Poco dopo la mezzanotte veniva cantata e suonata la marcia del Tannhauser, la quale, incontrando nel gusto di parecchi, vuoi per moda, vuoi per scienza infusa, veniva replicata. Il teatro era leggiadramente addobbato: Musica e danze, Fiori e profumi, Visini amabili, Ma... pochi lumi. Questa quartina, quasi di trinca assassinata al brioso Fanfulla, dà l’idea esatta della festa. Il ricavo fu relativamente importante: si sono incassate circa L. 7000. Il Carnevale da noi langue: la colpa è di coloro che volendo importare anche qui le feste ufficiali con processioni stupide, ed altre cianciafrusche ne hanno falsato lo spirito. Il carnevale veneziano era qualche cosa di singolare; nel suo procedere disordinato stava il suo bello, il suo caratteristico: mettere un ordine laddove il bello deve nascere dal disordine è assurdo. - All’Apollo la Zanze de Canaregio del sig. Perazzi, di cui vi tenni parola nella precedente mia, fece fiasco completo. Questa commedia, se tale può dirsi, è qualche cosa di antiartistico. - L’autore disse che il pubblico, non l’ha compresa: sarà. Io, se fossi Papa, vorrei aggiungere alle beatitudini (che mi pare sieno otto) anche la nona concepita cosi: Beati quelli che non comprendono le commedie modellate sulla Zanze de Canaregio. E qui mi fermo. p. p. Mantova, 6 Febbraio. Il telegramma che vi dava la notizia del risultato della Traviata andata in scena venerdì sera 2 corrente al nostro teatro Sociale, deve essere stato uno scherzo di gualche giovialone, o uno dei non rari cocqs-a-Tàne dei telegrafisti. Se l’esito della Traviata fosse stato brillante come l’elettrico ve lo dipinse, perchè la signora Caruzzi Bedogni avrebbe scelto la Semiramide per la sua beneficiata avvenuta ieri a sera? Della Semiramide si diedero già 13 rappresentazioni e della Traviala 3 solo; queste cifre devono parere abbastanza eloquenti a chicchessia. La Traviata ebbe un esito appena mediocre, quantunque gli artisti avessero qua e là applausi nei due primi atti, mentre il terzo passò frammezzo ad un glaciale silenzio e calò la tela accompagnata da universale zittio. Nè crediate che le due sere susseguenti siansi ottenute migliori accoglienze, al contrario gli applausi diminuirono, e l’indifferentismo crebbe, a tale che l’impresa nel suo bollettino degli spettacoli, sino alla fine della stagione, non arrischia la Traviala che una volta ancora. Povera Traviala! fortuna che noi abbiamo le reminiscenze della squisitezza, delle bellissime melodie di questa Elegia Verdiana, per averla udita nel 1856 da quegli eletti che erano la Piccolomini, Negrini e Giraldoni. Io sono d’avviso che la causa dell’insuccesso di questo spartito sia stata la fretta con cui si volle metterlo in scena, per modo che le prove d’orchestra, pochissime, furono fatte assieme coi cantanti, dei quali alcuno non conosceva quest’opera. Lo dissi ancora, il direttore d’orchestra che rappresenta l’autore, deve tutelarlo in ogni modo e non deve permettere che si esponga al pubblico un lavoro, se non ha il convincimento che vada bene. Perciò noi fummo obbligati ad assistere a stonazioni, a cambi di ritmi, a strazi d’ogni maniera che il pubblico fu ben gentile a tollerare. Null’ostante la signora Caruzzi Bedogni dopo il primo atto fu chiamata reiteratamente alla ribalta, ed ebbe applausi nel duetto col tenore Zennari e in quello col baritono Mottino nel secondo atto. La signora Caruzzi Bedogni ieri sera, che per la sua beneficiata oltre la Semiramide cantò la cavatina della Beatrice di Tenda, fu assai festeggiata, ebbe bellissimi bouquets con eleganti nastri, corone e versi di molte specie de’ quali alcuni pregevolissimi. Fino ad ora il carnevale è abbastanza morto, quantunque sia pubblicato il manifesto della Società del Carnevale MerlinCocai. Lunedi riuscì brillante la veglia del Prefetto, e questa sera avrà luogo un ballo dal Sindaco che posso anticipatamente dirvi riescirà benissimo, avuto riguardo alla squisita gentilezza ed al buon gusto della padrona di casa. Anche a Mantova non si parla d’altro che dell’AzTZa e non pochi mantovani si preparano a venire costi a portare la loro piccola parte d’ammirazione al grande maestro. p- rParigi, 7 febbraio. Non credete, almeno sino ad ora, a tutto quello che annunziano i giornali, grandi e piccoli, politici o musicali, sulla prossima apertura del teatro Italiano di Parigi. Tutti parlano, come d’un fatto compiuto, della novella direzione; tutti pretendono che l’agente teatrale Verger, fratello del baritono, ha preso il teatro per dieci anni, a partire dal prossimo settembre, e che conta poter dare una serie di rappresentazioni prima della state, epoca alla quale ha luogo tutti gli anni la chiusura. V’è un fondo di verità in tutto questo, ma in modo da ricordare il matrimonio d’Arlecchino, il quale era conchiuso per metà; vale a dire che questi era contento di sposar la regina, ma che la regina non,era stata neppur consultata, e quand’anche lo fosse stata!... È ben vero che il Verger ha conchiuso un trattato, o piuttosto stipulato un contratto coi proprietari della sala Ventadour, i quali gli danno a pigione l’edifizio, per dieci anni, mediante un prezzo annuo assai modico. E vero anche che il Verger si è messo d’accordo col signor Bazier, pel materiale, vale a dire scenarii, attrezzerie, ecc., ecc.; e finalmente non è men vero che abbia fatto delle proposizioni a questo o a quell’artista, ancora disponibile, per un numero più o meno ristretto di rappresentazioni da darsi in marzo, aprile e maggio prossimi. Ma - e qui sta il busillis - fino al momento in cui vi scrivo, vale a dire fino al 7 febbraio, il ministro dell’istruzione pubblica, dal quale dipende il dipartimento dei teatri, non ha ancora approvato la scelta del nuovo direttore. L’approverà? Non ne so nulla; ma fino a che quest’approvazione non sarà data, il Verger ha le mani legate, non può scritturare cantanti per questi due o tre mesi, nè annunziare rappresentazioni. Intanto i giorni passano e gli artisti che avrebbero potuto consentire a dar qualche rappresentazione, non saranno più in grado di farlo, quando l’approvazione del Governo sarà stata data. Infatti il tenore Nicolini che aveva accettato, scrive che non sarà più libero. Lo stesso dice la Volpini, e cosi via via. Restano la Penco, l’Alboni e qualche altro, ma sono artisti che non si scritturano per tutta una stagione; consentiranno più o meno a dar qualche rappresentazione, e sarà tutto. Quel che vi scrivo qui è l’esatta verità. L’ho attinta a fonte sicura; ho voluto veder chiaro quello scacchiere ed è al Ministero che sono andato a prender la nuova; sicché, ripeto, non credete per ora a quanto vedrete annunziato sui giornali. Non dico che, forse, più tardi, quel che hanno dato cosi prematuramente come cosa fatta non possa divenire una verità; ma fino ad oggi non è tale, o almeno è anticipata. In mancanza di un teatro italiano, avremo in questa settimana due opere di un maestro italiano. Tanto Y Ateneo (teatro Lirico), quanto i Bouffes hanno annunziato una prima rappre [p. 51 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 51 sentazione per venerdì 9 febbraio, quello d’Una festa a Venezia, questi del Docteur rose. Sarebbe assai singolare ed assai pregiudizievole il far coincidere la stessa sera le due rappresentazioni. Gli scrittori di critica musicale, non avendo il dono dell’ubiquità, non possono trovarsi la sera stessa all’Ateneo od ai Bouffes; una delle due opere sarebbe inevitabilmente negletta a profitto dell’altra e sacrificata. Ma quale dei due direttori cederà? «perchè debbo cedere a Martinet?» dice Noriac- «perchè debbo cedere a Noriac?» dice Martinet. - Ma siate certi, che uno dei due finirà per consentire ad una dilazione. Non credo che vogliano rinnovellare il fatto dei due Inglesi, le cui carrozze s’incontrarono, in faccia l’una dell’altra, in una via angusta, nella quale era impossibile di passar due di fronte. Erano giusto nel mezzo; nessuno dei due volle retrocedere; aspettarono un’ora, dopo di che l’uno dei due, per iscoraggiar l’altro, cavò di tasca il Times, lo spiegò e si mise a leggerlo. Ma l’altro, con una calma tutta britannica, mandò il cocchiere a pregarlo di volergli passare il giornale non sì tosto avrebbe finito di leggerlo. Il primo si rassegnò a retrocedere. Cosi farà forse il direttore dei Bouffes... o quello dell’Ateneo. AA’Opéra sempre lo stesso. L’Africana e Don Giovanni; la prima rappresentata in modo da far credere che si fosse ad un teatro di provincia, Bordeaux. Marsiglia e Lione. Nessuno degli artisti che cantarono per la prima volta l’opera postuma di Meyerbeer, era a questa ripresa. La signorina Hisson sosteneva la parte di Selika cantata altra volta dalla Sass; Caron cantava quella di Nelusko ove Faure fu tanto applaudito; il tenore Vii— laret la parte di Vasco di Gama, in cui esordì Naudin AVOpéra e la signorina de Vriès quella della signorina Battu, parte di Ines. All’Opéra Comique neppur nulla di nuovo. Non vi par strano che Parigi si contenti cosi lungo tempo di vecchie produzioni? Eppure cosi è. Qui il pubblico ama molto più le vecchie opere che le nuove. Scommetto che se offrite un palchetto ad una famiglia borghese per andar al Roberto il diavolo o al Domino nero piuttosto che ad un’opera nuova, sia seria sia comica, preferirà quelle due che sono vecchie di circa mezzo secolo. Strana cosa! Si dà una dote o sovvenzione ai due principali teatri di musica di Parigi, s’impone a ciascuna delle due direzioni l’obbligo di dare in ogni anno un numero definito di opere nuove e questa clausola non è mai rispettata. Credete che la stampa si lamenti, che il pubblico si lagni? Niente affatto. Invece nei piccoli teatri, che non hanno neppur un obolo di sovvenzione, le opere nuove si succedono con una frequenza straordinaria. Vedete, per esempio, i Bouffes; vedete l’Ateneo; Ricci dà due opere: ognuno di questi due teatri ha la sua. Per buona fortuna si è trovato un compositore italiano. Nel tempo che uno di questi scrive due opere, un maestro francese compone un duetto o un’aria. Vuol dire che l’ispirazione non è il forte dei maestri francesi. A A PALERMO. AI teatro Garibaldi ebbe buon esito una nuova opera del maestro Impallomeni Fatima. Ci mancano i particolari. L’esecuzione era affidata alla signora Montebello, al tenore Passetti, e al baritono Gizzi ed al Ricci, VERCELLI. La Beatrice di Tenda colle signore Sara Bellot e Bay, con Marini e Navari fu un trionfo specialmente per la protagonista. Il teatro è sempre affollatissimo. ROVIGO. Buon esito il Giuramento colla signora Dawidoff, col tenore Pardini e col baritono Bergamaschi. Buona l’orchestra. MONACO. Il Fide’io di Beethoven fu eseguito dopo molti anni che non si era rappresentato nel teatro di Corte, colla signora Blume, la quale ebbe accoglienze festose. ODESSA. Esito splendido il Profeta colle signore Biancolini e SuardiRepetto e con Bulterini. BARCELLONA. La Traviata ebbe esito completo al Gran Teatro. Emerse il tenore Ugolini. L’orchestra suonò meravigliosamente in tutta l’opera e fu applauditissima dopo i due preludii. PIETROBURGO. Il Trovatore colla Patti, colla Trebelli, con Nicolini e Oraziani, fu un trionfo indescrivibile. MANNHEIM. Lisa o il linguaggio del cuore, nuova opera del professore E. Mertke, fu rappresentata con buon successo il 24 gennaio scorso. Il compositore è anche autore del libretto. GAND. Gran successo il Polüdo (Les Martyrs), eseguito dalla signora Soustelle, dal tenore Roussel, dal baritono Flachat e da Berardi. NOTÌZIE ITÀÜÀNÊ — Genova. Scrive la Gazzetta di Genova del 9 corrente: La Società filarmonica di mutuo soccorso ha nominato a suo presidente onorario il marchese G. B. Monticelli, inviandogli in pari tempo una manifestazione di riconoscenza pei benefizi ricevuti dal preclaro patrizio, segnatamente per vistose somme dallo stesso recentemente elargite. NOTIZIE ESTERE — Dresda. Un frammento sinfonico di Berlioz. eseguito ai concerti di Mannsfeldt, fu accolto con tale entusiasmo che si dovette ripeterlo. — Madrid. Il giornale EI Heraldo assicura che fu stabilita una somma di 500 duros, nel bilancio dell’anno prossimo, per esser data in premio all’autore della miglior opera lirica spagnuola. Questa risoluzione sarebbe stata presa per proposta del maestro Arrieta. — Basilea. Un gran concerto ebbe luogo il 24 gennaio a beneficio delle vittime francesi della guerra. Vi presero parte Vieuxtemps, Rubinstein e Nicot; un gran nnmero di signore di Mulhouse vi assistevano vestite a lutto. Il prezzo dei posti era fissato a tre lire; molti però furono pagati fino 1000 e 1500 lire. — Niort. Si è fondato testé un circolo musicale, che conta fra i suoi membri molti artisti di talento e i principali dilettanti della città. — Diyon. Il giorno 27 gennaio fu festeggiato musicalmente il 116.° anniversario della nascita di Mozart. I Diyonnesinon dimenticano che nel 1766 il grande maestro soggiornò nella loro città. Uno splendido concerto, con un programma esclusivamente composto di musica di Mozart, ebbe luogo nella sala della scuola di diritto. Carlo Poisot, direttore del Conservatorio, fece in questa occasione una lettura su Mozart. — Bruxelles. Faure fu nominato ispettore degli studi di canto del Conservatorio, con decreto del 27 gennaio. Si attribuisce al Re l’intenzione di aumentare il sussidio al teatro la Monnaie. Si annunzia pure la nomina del signore Chiaramente a professore di canto nel Conservatorio. — Bayreuth. Il proprietario della collina dello Stuckberg scelta da Wagner pel suo teatro non volle cederla; l’autorità comunale ha acquistato sulla strada di Burgerreuth una collina assai preferibile all’ingrato Stuckberg, che non avrà così l’onore di servire di piedestallo alla musica di Wagner. — Parigi. La ricostruzione del teatro della Porta San Martino stà per incominciare; il disegno rassomiglia alquanto a quello della chiesa della Maddalena. La facciata sarà sostenuta da diciotto colonne. — Milano. Eugenio Torriani, compositore di merito, autore di due opere, l’una delle quali Carlo Magno che ebbe buon esito alla Scala nel 1853. Fu il primo promotore dell’insegnamento del canto corale in Milano, e scrisse un Metodo che fu adottato nelle scuole. Morì a 47 anni, dopo aver vissuto modestamente ed aver provato tutte le amarezze e i dolori che accompagnano l’ingegno modesto. — Parigi. Michele-B-F. Torramorell, compositore, clarinettista, autore di due opere, morì il 25 dicembre 1871 in età di 85 anni. — Berlino. Alina Himdt, compositrice di bell’ingegno. — Vienna. Francesco Glòggl, già editore di musica, morì il 23 gennaio in età di 76 anni. — Pietroburgo. Pogoyéff, maestro direttore del teatro Alexandra. — Nova-Jork. G. B. Panormo, maestro di musica, italiano di nascita, aggredito da ladri per la via, ricevette un colpo di mazza al cranio, in seguito al quale mori. Aveva 41 anno. [p. 52 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO settimana teatrale, 4-10 febbraio. Teatro alla Scala. 4 e 5. Atto I dell’opera II Giuramento - Velleda e Figlie di Chèope, balli— 8. Aida - Velleda, ballo — 10. Aida - Figlie di Chèope, ballo. Teatro alla Canobbiana. 4. Il vecchio caporale - Emma ed il genio della terra, ballo — 5. Amleto - Emma ed il genio della terra, ballo — 6. Le mosche bianche - Emma ed il genio della terra, ballo — 7. Amleto - Emma ed il genio della terra, ballo — 8. En segreto - Emma ed il Genio della terra, ballo — 9. I due sergenti - Emma ed il genio della terra, ballo — 10. Malvina - Emma ed il genio della terra, ballo, Teatro Carcano. 4. Un Ballo in maschera — 5 e 6. Rigoletto — 7. I Lombardi — 8. Un Ballo in maschera — 9. I Lombardi — 10. Un Ballo in maschera. Teatro Re. 4. Tentazioni! — 5. Nerone — 6. Beethoven — 7. Patria — §. Le coscienze elastiche — 9. Nerone — 10. Perché al cavallo gli si guarda in bocca? Teatro Santa Radegonda. 4. 5, 6, 7, 8, 9 e 10. Kakatoa. Signor S. A. Margaria — Roma. Il Canzoniere di Panzacchi non si è ancora potuto pubblicare, causa la sovrabbondanza di lavoro di questo mese. Lo avrete al più presto. Agli spiegatori di Sciarade, eco., ecc. Raccomandiamo di indicare il premio scelto nella stessa lettera con cui si invia la spiegazione. Ciò riesce molto più semplice e più spiccio per tutti. Signor S. Sai. — Cesena. Quanto chiedete è impossibile; scegliete il premio che vi spetta. A coloro che si lamentano di non aver ricevuto i premii rispondiamo in genere che ciò avviene o perchè alcuni premii sono ancora sotto i torchi, ovvero perchè non hanno ancora rinnovato F abbonamento. In quest’ultimo caso il ritardo nell’invio è norma di amministrazione, necessaria per semplificare la tenuta dei libri. NOTÌZIE Diciamo cosa che parrà incredibile a chi non ha avuto la fortuna di assistere alla seconda rappresentazione dell’Aida; ed è, che gli applausi furono molto maggiori che non alla prima rappresentazione, e l’entusiasmo ancora più grande! Non possiamo dire il numero delle appellazioni fatte a Verdi ma ei parvero assai più numerose dell’altra sera. In fine dell’opera grida ed evviva frenetiche.il sommo maestro comparve più volte al proscenio in mezzo a tutti gli artisti, ai maestri Faccio e Zarini e al poeta Ghislanzoni, che finalmente si lasciò presentare al pubblico. Un’ultima comparsa di Verdi venne salutata con una dimostrazione commoventissima, imponente. Non un pezzo passò sotto silenzio: l’esecuzione di gran lunga superiore a quella di giovedì, permise al pubblico di apprezzare e gustare molte peregrine bellezze, impossibili del resto, a decifrarsi ad una prima udizione. Tutto il gran finale del secondo atto fu un vero portento di esecuzione per parte di tutti. Diremo francamente che di un solo pezzo ei pare che il pubblico non abbia per anco compresa tutta la sublimità e potenza drammatica: ed è il duetto fra Aida ed Amonasro nel terzo atto: certo gli applausi con cui fu accolto, sono molti, ma non pari al merito veramente eccezionale di questo pezzo; probabilmente l’arditezza con cui viene terminato il duetto, lascia un po’ dubbioso l’animo dello spettatore, il quale, siamo certi, una volta compresa la situazione scenica non potrà a meno di applaudire con entusiasmo questa sublime pagina di musica drammatica eseguita in modo insuperabile dalla Stolz e Pandolfini. Del gran finale del secondo atto, della scena del giudizio nel quarto, e del duetto finale dell’opera si voleva il bis, impossibile a farsi per ragioni sceniche e musicali. In questa scena poco mancò che la signora Waldmann non rimanesse vittima di un accidente che poteva avere conseguenze terribili, perchè nel salire la scala che mette al piano superiore della scena, s’appiccò il fuoco all’ampio velo nero che tutta la avvolge. Un coraggioso macchinista riuscì a strapparle d’addosso il velo in fiamme, riportando una lieve scottatura alla mano: la signora Waldmann rimase miracolosamente incolume, e benché angosciata pel terrore provato, si presentò in scena per cantare le ultime note dell’opera. Vi fu un momento di panico sul palco ed in platea, che poteva assumere proporzioni terribili, ma che dileguò ben tosto grazie al sangue freddo della signora Stolz che continuò a cantare tranquillamente come se nulla fosse, del maestro Verdi che arrestò parte dei cori, già datisi in fuga pel palco, e dell’orchestra che imperterrita non tralasciò di suonare obbediente alla bacchetta del suo direttore. U LLLLLLLLL LSA 18a’3 0 M 0 M 0 M LSA A SPIEGAZIONE DELLA SCIARADA E DEL REBUS DEL NUMERO 4. A-VERNO Hayli d’asino non vanno in cielo Quattro degli abbonati, che spiegheranno il Rébus, estratti a sorte, avranno in dono uno dei pezzi enumerati nella copertina della Rivista minima, a loro scelta. Spiegarono la Sciarada e il Rebus del N. 4 i signori: E. Bonamici (Livorno), Giuseppe Bagatti Vaisecchi (Milano), Giulia Turco (Trento), Fantoni Alfonso (Piacenza), G. Orrù (Padova), Citerio Amos (Bergamo), Angelo Vecchio (Pavia). Baldassare Bottigella (Pavia), Angelo Gerosa (Como), Ernestina Benda (Venezia), Dott. Ragazzi Pietro (S. Felice), Avv. Guido Venini (Como), ingegnere Martino Nicoli (Alzano), Cèsare Cavallotti (Vicenza), Ferdinando (Ghini (Cesena), E. Donadon (Milano) S. Saladini (Cesena). Estratti a sorte quattro nomi riuscirono premiati i signori: Giuseppe Bagatti Vaisecchi, Giulia Turco, Citerio Amos, e Angelo Gerosa. La Sciarada fu anche indovinata dai signori: Luigi Cardon (Castellamare), Orazio Zunica Duca d’Alessano (Napoli), Leonida Cencetti (Perugia). Editore-Proprietario, TITO DI GIO. RICORDI. Oggioni Ohtseppej gerente. Tipi Ricordi. — Carta Jacob.